Quella che viene dalla pandemia è indubbiamente una fase di nuova centralità dei beni pubblici fondamentali: salute, istruzione e ambiente. Campi in cui non può esistere il povero né il ricco, beni indisponibili al mercato e al profitto. Al contrario va affermata l’idea che questi beni riguardano il futuro dei nostri figli e chiedono pertanto una presa in carico da parte della comunità.
I referendum del 2011 hanno affermato il principio dell’acqua come bene non privatizzabile. L’energia, il patrimonio culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei servizi di welfare e formazione, sono beni che devono vivere in un quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla qualità delle prestazioni.
Per raggiungere questi obiettivi, come per coniugare sviluppo e sostenibilità sociale, ridurre le diseguaglianze, garantire diritti risulta indispensabile ripensare il rapporto tra istituzioni pubbliche e mercatoriconsegnando una direzione strategica all’intervento pubblico.
La sanità pubblica universalistica e il diritto alla salute sono la misura della civiltà di una nazione.L’Art. 32 della nostra Carta Costituzionale recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.
È l’unico articolo in cui accanto alla parola “diritto” viene accostata la parola “fondamentale”. Questo articolo ci dice che non importa quanti soldi hai, da dove vieni, il colore della tua pelle, hai sempre diritto ad essere curato. Non in quanto cittadino, ma in quanto individuo.
Il Covid, poi, ha impartito a tutti noi una lezione di fondo: la Salute come bene comune è condizione necessaria alla crescita economica, all’economia stessa, alla libera circolazione delle merci. Il rovesciamento di questo semplice rapporto causale ha giustificato per anni il taglio della spesa pubblica, con un ventennio di avanzi primari, a scapito dello stato sociale. L’apertura di una nuova stagione passa dal PNRR e dall’inversione di questa tendenza. Prossimità, innovazione, uguaglianza: sono queste le tre parole chiave che uniscono tutti gli interventi della Missione Salute che il prossimo Governo avrà la responsabilità di portare a compimento.
Accanto ad esso la più grande sfida con cui fare i conti sarà garantire un ricambio adeguato e sufficiente di professionisti della salute. Tra il 2022 e il 2030, infatti, andrà in pensione circa il 40% dei medici italiani. Un SSN in affanno di personale contribuisce ad amplificare diseguaglianze e differenze di opportunità. Pensiamo che una soluzione tampone possa essere rappresentata dall’inserimento in corsia di personale medico non specializzato, mentre, nel lungo periodo, il prossimo Governo dovrà lavorare in continuità con il precedente, proseguendo sulla strada dell’incremento del FSN, sciogliendo definitivamente l’imbuto formativo, continuando il lavoro di costruzione delle condizioni per il superamento del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina.
Il SSN è il bene più prezioso di cui disponiamo. Abbiamo il dovere di tutelarlo e di consegnarlo alle future generazioni in una condizione migliore di come le passate lo hanno consegnato a noi.
I grandi cambiamenti climatici, la fragilità in cui versa il nostro territorio e il nostro ecosistema e, da ultimo, condizioni esogene come le conseguenze energetiche della guerra, ci impongono di rendere l’Italia un luogo capace non solo di colmare i propri ritardi in termini di transizione, ma di accelerare e anticipare le trasformazioni in campo ambientale.
Il perno di questa strategia, il settore capace di incrociare tutte le dimensioni della transizione, è la conversione dell’economia, una rivoluzione industriale green che punti verso un modello in grado di produrre più risorse di quante vengano sottratte, in termini ambientali e sociali.
Dobbiamo puntare ad una totale decarbonizzazione del nostro Paese, passare dalla strategia “usa e getta” alla quella “rigiuti zero”, investire nella riduzione dei consumi, in particolare di quelli energetici, continuare nel percorso iniziato di efficientamento di casa, mobilità e trasporti, e lavorare alla contestuale conversione dei consumi residui verso uno scenario al 100% rinnovabile entro il 2050.
Operare per il superamento della dipendenza dalle energie fossili significa, investire sul modello delle comunità energetiche che favorisca l’autoproduzione di energia pulita, in cui i cittadini e le comunità siano sempre di più consumatori, produttori e distributori di energia, riducendo così lo strapotere economico e geopolitico degli oligopolisti che oggi controllano nel mondo il settore energetico e spesso agiscono senza riguardo per i diritti umani e per l’ambiente.
Con questi obiettivi chiediamo in primo luogo l’istituzione di una Commissione permanente sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.
Riteniamo necessario il varo di un piano per la promozione e la disciplina del commercio equo e solidale.
Il terzo passo deve essere la creazione di un fondo per l’efficienza energetica per industria commercio e artigianato e la proroga – ripensando il meccanismo di cessione dei crediti – del fondo per il super bonus per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio.
Siamo convinti che il prossimo Governo debba mettere in campo una strategia di progressiva riduzione del costo della modalità pendolare sostenibile, attingendo agli extraprofitti delle grandi multinazionali dell’energia, e di consolidamento della sharing mobility. In linea con questi interventi risulta necessaria un grande piano di infrastrutturazione per la mobilità elettrica.
In ultimo, non per importanza, serve intervenire con radicalità in contrasto alla povertà energetica. È necessario prendere atto che l’accesso all’energia a prezzi sostenibili rappresenta un diritto sociale fondamentale. Quindi è necessario disciplinare un piano d’azione integrato che abbia effetti consistenti e permanenti.
Dobbiamo costruire nuove relazioni con i mondi che ci circondano: per il benessere animale, contro la caccia in deroga, per la promozione della biodiversità, per comportamenti più salubri, per ridurre l’impronta ecologica, per tutelare la natura e quindi noi stessi.
Per un Paese le politiche per l’istruzione e la ricerca rappresentano nel lungo periodo, senza ombra di dubbio, il più importante strumento di lotta alle diseguaglianze. L’Italia nel programmare il suo futuro non può prescindere dal dare una risposta netta e decisa alla drammatica caduta della domanda d’istruzione registrata negli ultimi anni.
Occorre, prima di ogni altra cosa, sancire un principio: assieme alla tutela della salute e dell’ambiente, l’istruzione rappresenta il bene più prezioso per la nostra società. Dalla scuola dell’infanzia e dell’obbligo, alla secondaria e all’università, abbiamo il dovere di rovesciare la crisi nell’occasione di migliorare un settore per troppi anni fiaccato da tagli e riforme inconcludenti.
Oggi l’unica strada possibile da percorrere è quella di una vera e propria opera di ricostruzione, consapevoli che le sfide sono quelle della formazione lunga e permanente, dell’aggiornamento costante, della capacità di seguire e sostenere l’individuo anche durante il percorso lavorativo. Dobbiamo costruire un sistema d’istruzione saldamente ancorato ai principi costituzionali, che sia realmente gratuito, che non abbandoni nessuno lungo la strada, accessibile a tutti per davvero, senza distinzione alcuna.
A questi obiettivi ormai dichiarati si aggiunge la necessità di accelerare il percorso di adeguamento del nostro sistema di istruzione alle nuove tecnologie. Il Covid ha evidenziato come ad oggi larghe fasce del Paese siano sostanzialmente prive di strumenti, tecnologici e metodologici, per affrontare adeguatamente questa importante transizione.
Di fronte a queste sfide risulta urgente e indispensabile invertire, una volta per sempre, la tendenza nella spesa. Bisogna chiudere definitivamente la stagione dei tagli, mandare in soffitta la logica dell’istituzione-azienda, tornare ad investire risorse avendo come unico riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi.
Serve un piano per l’edilizia scolastica, un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale. È irrinunciabile un investimento sul diritto allo studio e sulla progressiva gratuità dell’accesso a partire dall’abolizione delle tasse universitarie, sull’effettivo sostegno con borse di studio e residenze per gli aventi diritto, sulla qualità dell’insegnamento, sulla valorizzazione di professori e ricercatori, sulla stabilizzazione dei precari dell’Università e del sistema pubblico di ricerca, sulla valutazione seria della ricerca definendo nuovi criteri e finalità della valutazione dei singoli e delle istituzioni. Strumenti strutturali per la ricostruzione di un sistema universitario e della ricerca pubblica all’avanguardia e diffuso lungo tutta la penisola.
Nel mezzogiorno, poi, la sfida degli Atenei può essere ancora più ambiziosa. Favorire l’interazione tra grandi e piccole università del Sud e media e grande industria può significare attrarre gli investimenti di chi opera su mercati internazionali, trasferire opportunità ai giovani studenti e a quelle PMI che ambiscono ad allargare i propri orizzonti di mercato.
L’obiettivo deve essere quello di sperimentare nuovi modelli di partenariato tra le università e rendere attrattivi luoghi e regioni che non possono più pagare una quota tanto elevata in termini di emigrazione intellettuale.
È questa una via con cui, oggi, molte università del Sud possono rilegittimare la propria funzione nei territori e infondere, ai giovani che li abitano, quella speranza di futuro e di orgoglio di appartenenza alla loro comunità. E di questo capitale sociale il Sud, oggi più che mai, ne ha un bisogno vitale.