Introduzione

Giovane, Giusta.

Per troppo tempo la politica ha deluso i giovani.

Siamo la prima generazione di sempre a mettere nel conto che il proprio futuro possa essere peggiore di quello dei propri genitori. La prima cresciuta senza il racconto diretto della guerra, nata dopo la caduta del muro di Berlino, quella che andava a Londra con la carta d’identità ma che ha subito la Brexit e vive la paura di una guerra nel cuore dell’Europa. La generazione cresciuta con il sogno della rivoluzione digitale e che oggi fa i conti la paura delle tecnologie, della quantità di lavoro che riducono, della scarsa qualità del lavoro che producono.

Le ragazze e i ragazzi più formati della storia che tuttavia riescono a entrare nel mondo del lavoro solo con il contagocce. Quelli per cui un giusto salario è diventato un privilegio. Una generazione che vive nella costante sensazione che il futuro non sia più nelle sue mani, ma messo in dubbio da cose enormi: pandemia, guerra, globalizzazione incontrollata. Cresciamo con la convinzione che se ti comporti bene, studi, ti impegni, potresti comunque non essere al sicuro. Significa vivere a vista. E così non si vive.

Tuttavia, siamo una generazione socialmente e politicamente consapevole che, nonostante le ingiustizie che deve affrontare, non si è lasciata scoraggiare e continua a chiedere buona politica e cambiamento. In tutto il paese, i giovani scendono in piazza e guidano gli scioperi per il clima, organizzano campagne per la difesa dei diritti civili, si mobilitano per la pace, riempiono le piazze per chiedere il lavoro.

Diciamo spesso che i giovani sono i leader di domani, ma gli eventi recenti hanno dimostrato che sono i leader di oggi.

Vogliamo che Il prossimo governo investa nei giovani e costruisca il Paese attorno alle loro ambizioni. Abbiamo bisogno di misure radicali, a cominciare da un piano straordinario per l’occupazione giovanileche metta a lavoro un milione di giovani nei prossimi cinque anni dimezzando l’attuale tasso di disoccupazione giovanile, per finire alla messa in campo di una vera rivoluzione industriale green che affronti la crisi climatica e garantisca che ogni giovane possa realizzare il proprio potenziale e sentirsi sicuro nel proprio futuro.

Queste elezioni sono un’occasione unica per ricostruire e trasformare il nostro paese. Il futuro è nostro. È tempo di costruire un’Italia giovane e giusta. Un’Italia che non lasci indietro nessuno

Democrazia

Ritorno alla politica

I giorni difficili dell’elezione del Presidente della Repubblica e la fine traumatica della legislatura sono l’esempio più forte della debolezza del nostro sistema politico. Dobbiamo chiudere definitivamente il trentennio di antipolitica che ha segnato la storia recente del nostro Paese, sconfiggere l’idea della fine dei partiti e dell’uomo solo al comando, coscienti che il populismo può essere battuto solo con una politica autenticamente popolare.

Ridare dignità e autorevolezza alla parola “partito” è il primo passo in questa direzione. Occorre ricostruire grandi soggetti organizzati portatori di una chiara e definita visione della società. Forze strutturate e radicate, connesse al Paese attraverso reti di prossimità così come sancito nell’articolo 49 della nostra Costituzione.

Questa strada va percorsa attraverso quattro azioni fondamentali.

In primo luogo l’approvazione di una legge sui partiti che assicuri la democrazia delle e nelle forze politiche, che devono riformarsi per essere strumento dei cittadini e non comitati elettorali nelle mani di un capo.

Il secondo passo deve essere la reintroduzione di una legge sul finanziamento pubblico che garantisca ai partiti l’autonomia da lobby e gruppi di interessi, rafforzi la loro capacità di elaborazione programmatica e li riconsegni alla loro imprescindibile funzione di luogo di formazione e crescita delle future classi dirigenti. Su questo terreno proponiamo che una quota percentuale del finanziamento pubblico sia vincolata all’investimento sulle organizzazioni giovanili e alla attività di formazione che esse svolgono.

Riteniamo necessario l’inserimento in Costituzione di una legge elettorale proporzionale che sancisca il ritorno alla democrazia dei partiti.

Ultima, ma non per importanza, una ritrovata centralità della questione morale. Vogliamo che l’Italia onesta possa vedere nella politica e nelle Istituzioni della Repubblica un alleato contro ogni forma di illegalità. Perché questo sia dobbiamo impegnarci in una lotta decisa all’evasione fiscale, nel rafforzamento della normativa contro la corruzione, in una lotta in prima linea e senza quartiere a tutte le mafie e criminalità. La rigorosa applicazione del codice etico approvato dalla Commissione antimafia è per noi inderogabile per le candidature a tutti i livelli.

Una sfida globale

Il nuovo mondo multipolare

L’’aggressione della Russia all’Ucraina è un atto gravissimo e ingiustificabile, un errore nero della storia che viola ogni principio del diritto internazionale e che non può essere giustificato.

Oggi l’unica priorità è arrivare rapidamente ad un cessate il fuoco, riaprire la strada della diplomazia e favorire corridoi umanitari sicuri per la popolazione civile in fuga.

Dentro questo drammatico scenario segnato dalla terza guerra mondiale combattuta a pezzi, basti pensare a quanto continua ad accadere in Libia o in Siria e alla relazione fra USA e Cina, l’Europa è chiamata ricostruire il proprio ruolo. Con la consapevolezza di un nuovo mondo multipolare che si fa avanti e in cui la pandemia e guerra hanno una mutazione di equilibri già in atto.

In questo senso l’Europa dovrebbe maturare una sempre più chiara politica di contrasto alle spinte che vorrebbero imbrigliare il mondo in una nuova contrapposizione fra due grandi potenze.

Consapevoli di un dialogo fra culture e sistemi istituzionali e sociali profondamente differenti, è necessario per l’Europa comprendere la Cina, creare le condizioni perché l’Europa divenga un punto di riferimento per una prospettiva di cooperazione internazionale, di risoluzione diplomatica del conflitto con la Russia, di condivisione delle linee di fondo dello sviluppo globale economico, tecnologico e infrastrutturale dei prossimi decenni. Emancipandosi, nell’ambito dell’Alleanza Atlantica, da ogni subalternità verso gli USA e sapendo costruire, nel lavoro comune, argini all’egemonia internazionale che Pechino sta tessendo da tempo ed efficacemente.

La pandemia ha evidenziato come mai prima, anche in ampi strati di opinione pubblica, quanto possa essere rilevante il rafforzamento delle organizzazioni internazionali e la cooperazione fra paesi, su scala globale, per rispondere a sfide e problematiche che investono l’umanità intera.

Anche in ragione di un sistema economico e commerciale che ha fatto emergere una rete di interdipendenze sempre più fitta e determinante. Per troppo tempo si è voluto far coincidere la definizione di una governance globale con gli orientamenti di organizzazioni internazionali tese prioritariamente a tutelare i dogmi della declinazione neoliberista della globalizzazione (a partire ad esempio dalla libera circolazione dei capitali) lasciando in secondo piano la cooperazione e gli investimenti comuni sul piano della salute, della ricerca, del cambiamento climatico, della cura degli ecosistemi come responsabilità globale di tutti i paesi.

Se il Covid non è un avvenimento episodico, ma l’ennesimo segnale, e il più drammatico, di un modello di sviluppo globale insostenibile, le cui contraddizioni economiche e ambientali potrebbero essere incompatibili con la sopravvivenza stessa della specie umana, il Governo che verrà non può che alzare lo sguardo su questa dimensione internazionale, interrogandosi a quel livello su quali risposte proporre e su quali istituzioni transnazionali possono farsene interpreti.

Per storia, collocazione geografica, relazioni politiche, culturali e commerciali, i destini dell’Italia sono da sempre legati a quelli del Mediterraneo. Negli ultimi anni il nostro paese sembra tuttavia aver perso la propria capacità di giocare un ruolo di primo piano nelle vicende del “Mare nostrum”. Anche nei più recenti sviluppi dello scenario libico, che hanno certificato una progressiva e preoccupante uscita di scena dell’Italia.

È a maggior ragione urgente per l’Italia riappropriarsi di un’analisi e di una rete di relazioni nel e per il Mediterraneo. Con l’intento di proporre una nuova centralità dei rapporti che il nostro Paese può avere, dal mondo arabo all’intero continente africano.

Adoperandosi per promuovere la stabilità e i processi di pace in Medio Oriente e riassumendo come prioritarie nell’area le relazioni con le forze politiche di emancipazione e di liberazione, democratiche e di sinistra, che hanno spesso conosciuto, in passato, nell’Italia un interlocutore affidabile.

E anche per questo rimane centrale il conflitto israelo-palestinese. Oltre al dramma umanitario – e al diritto negato all’autodeterminazione di un popolo – il valore simbolico di questa ferita ancora aperta fa sì che solo attraverso una soluzione avanzata e condivisa della questione palestinese si possa immaginare una ripresa nell’area dei movimenti laici e democratici.

Occorre riproporre la necessità e l’urgenza di liberare i cittadini della Striscia di Gaza dalle attuali e drammatiche condizioni di vita in cui sono costretti e di arrivare a una soluzione che garantisca due stati per due popoli.

Europa

Un nuovo europeismo

Pandemia, guerra, crisi sociale ed economica. Dalla tempesta perfetta che ha travolto il nostro continente non si esce con le ricadute nell’euroscetticismo né attraverso l’adesione cieca all’attuale struttura Europea. Siamo convinti che serva un “nuovo europeismo”  da costruire attraverso il governo della moneta unica e la sua stabilizzazione; attraverso la consapevolezza che il benessere dell’individuo – prima priorità da assumere – passa dalla tutela dei beni pubblici fondamentali come lavoro, salute e ambiente e attraverso la capacità di riequilibrare il rapporto tra economia reale e finanza.E’ su queste basi che serve lavorare per costruire un’Europa moderna e solidale.

Il prossimo Governo dovrà avere ben chiara questa missione. Per riuscirci serviranno diverse linee di intervento.

In primo luogo serve investire  sulla piattaforma dei Socialisti Europei, lavorando per rafforzarne peso e identità politica nei confronti delle altre principali famiglie europee, a cominciare dal PPE.

Dobbiamo dire con chiarezza che la stagione del PNRR non può e non deve rappresentare una parentesi. Tornare alle politiche di austerità e al dogma del riequilibrio dei conti pubblici significherebbe vanificare gli sforzi e i risultati raggiunti in questi anni.

Al contrario rendere permanenti le nostre emissioni di debito comune e creare un Tesoro a livello europeo dovrebbe rappresentare un obiettivo prioritario. Bond europei sarebbero la chiave per impegnare la BCE nel finanziamento di una transizione giusta, verde e digitale, e ne amplierebbero la mission al di la del solo controllo dei prezzi.

In un quadro complessivo di contrasto al dumping è importante assumere come priorità l’impegno in riforme fiscali coordinate a livello continentale, in modo da poter sviluppare politiche redistributive e dare un vero colpo alle diseguaglianze.

L’istituzione di un salario minimo europeo rappresenta un traguardo imprescindibile per ridurre la disuguaglianza salariale, sostenere la domanda interna e rafforzare gli incentivi al lavoro, garantendo così una concorrenza leale.

Siamo convinti che Meccanismo Europeo di Stabilità sia uno strumento anacronistico. Un figlio superato della crisi del 2008 che porta con sé lo spettro di ristrutturazioni del debito improvvide legate a giudizi terzi sull’insolvenza degli Stati.

Nel percorso di revisione dei Trattati serve battersi per ottenere l’eliminazione del potere di veto in capo ai singoli Governi, l’attribuzione al Parlamento Europeo del diritto di iniziativa legislativa e del diritto di co-legislazione sul bilancio UE, l’adattamento delle competenze nei settori della salute e delle minacce sanitarie transfrontaliere, nel completamento dell’unione energetica basata sull’efficienza e sulle energie rinnovabili, nella difesa e nelle politiche sociali ed economiche.

Occorre aprire di un dibattito transnazionale sull’elezione diretta del Presidente della Commissione Europea che goda della prerogativa di nominare i membri del proprio Governo.

Su queste basi sarebbe più semplice lavorare ad una politica estera e a strumenti di difesa comunitari che superino l’attuale Cooperazione Strutturata Permanente.

Con questi obiettivi collocare il progetto e l’azione di governo italiano nel cuore della sfida europea è l’unica condizione per costruire un’Europa più democratica, aperta, inclusiva.

Lavoro

Il cuore della nostra agenda

Siamo convinti che il lavoro sia il punto di tenuta di tutte le politiche e che il cuore della nostra proposta e di ogni azione da mettere in campo debba essere la dignità del lavoratore.

E’ su questo punto di fondo, infatti, che in quest’ultimo decennio si è consumata una frattura lungo la quale è cresciuto a dismisura il conflitto sociale. Un conflitto nuovo, come radicalmente nuovo è il lavoro, nell’organizzazione, nelle dinamiche, nella gestione di luoghi e tempi. Un conflitto che supera l’antagonismo classico tra impresa e operai e abbraccia una dimensione molto più ampia, fatta purtroppo di molteplici soggetti che subiscono variegate forme di sfruttamento.

La battaglia per la dignità del lavoro deve, perciò, coinvolgere tanto il rider quanto l’operaio sindacalizzato, tanto il piccolo imprenditore artigiano quanto l’impiegato pubblico, tanto una giovane partita IVA quanto una ricercatrice universitario o un’insegnante precaria.

Il primo, imprescindibile passo da compiere è una riforma del sistema fiscale in senso progressivo che alleggerisca il peso sul lavoro e sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e dagli extraprofitti delle grandi aziende multinazionali.

Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le scelte dei Governi dell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una competitività al ribasso del nostro apparato produttivo.

Pensiamo dunque che sia indispensabile superare la giungla di forme contrattuali precarie attualmente in vigore e tornare a considerare il tempo indeterminato a piene tutele come la forma prevalente di assunzione.

E’ indispensabile disciplinare le nuove forme di lavoro, come quelle con le piattaforme tecnologiche, per le quali manca un inquadramento giuridico certo, che si trovano a cavallo fra il lavoro subordinato e quello autonomo; normare – nell’ottica di tutela del lavoratore – lo smart-working sia nel settore privato che in quello della P.A; rafforzare l’ispettorato del lavoro e la diffusione di finti contratti part-time per garantire sicurezza a chi lavora e contrastare i modo deciso le innumerevoli forme di caporalato che inquinano larghe fette del nostro Paese.

Il terzo passo è spezzare la spirale perversa della compressione dei salari. Su questo terreno è necessario intervenire con decisione approvando subito una legge sul salario minimo legale e sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, superando tutte le forme contrattuali che alimentano lo sfruttamento e dicendo con chiarezza che nessuna forma di prestazione – stage e tirocini in testa – può essere svolta in modo gratuito.

Quarto passo è mettere in campo politiche fiscali a sostegno dell’occupazione giovanile e femminile, ancora adesso uno dei differenziali più negativi per la nostra economia, in particolare al Sud.

Proponiamo di mettere al centro dell’azione del prossimo Governo un piano straordinario per il lavoro giovanile. Un programma di assunzioni da imperniare su massiccio turnover nella Pubblica Amministrazione – in sanità, scuola, università, in modo da accumulare le competenze di cui la Pubblica amministrazione oggi è più carente – da coniugare con un grande piano di investimenti pubblici – con al centro la riconversione ecologica dell’economia – per rimettere in piedi il Paese e generare crescita economica e quindi occupazione. L’obiettivo deve essere quello di mettere a lavoro un milione di giovani nei prossimi cinque anni e dimezzare l’attuale livello di occupazione giovanile.

Crediamo che, in quest’ottica, le risorse del PNRR siano un’occasione che raramente si presenterà di nuovo. Abbiamo la possibilità di intervenire sulla messa in sicurezza del territorio, delle scuole, degli ospedali, degli edifici pubblici e delle abitazioni; investire in energie alternative, risorse idriche, istruzione, sanità, trasporto pubblico, saperi. Sono tutti investimenti ad alto moltiplicatore, cioè in grado di produrre una ricaduta economica molto più elevata rispetto agli sgravi fiscali o ai trasferimenti monetari.

Accanto alla questione giovanile serve un grande piano per aumentare e migliorare l’occupazione femminile, contrastare la disparità nei redditi e nelle carriere, sradicare i pregiudizi sulla presenza delle donne nel mondo del lavoro e delle professioni. A tale scopo è indispensabile alleggerire la distribuzione del carico di lavoro e di cura nella famiglia, sostenendo una riforma del welfare, politiche di conciliazione e condivisione e varando un programma straordinario per la diffusione degli asili nido. Anche grazie a politiche di questo tipo sarà possibile sostenere concretamente le famiglie e favorire una ripresa della natalità. Insomma sul punto non servono altre parole: bisogna fare del tasso di occupazione femminile e giovanile il misuratore primo dell’efficacia di tutte le nostre strategie.

Infine, il lavoro è oggi per l’Italia lo snodo tra questione sociale e questione democratica. Dobbiamo approvare una legge sulla rappresentanza, sulla base del dettato costituzionale, che preveda la partecipazione e il voto dei lavoratori, serve a restituire valore alla contrattazione e ad eliminare il fenomeno dilagante dei contratti pirata. Non è solo una scelta di politica economica, ma un passo decisivo per migliorare la qualità della nostra democrazia.

Uguaglianza

Per un'Italia giusta

Per l’Italia il cuore del problema, il vero nodo da sciogliere, è la questione sociale. Sono le condizioni materiali di vita e di lavoro delle persone. È l’aumento, nella nostra società, di intollerabili disuguaglianze.

Nel nostro Paese vive sotto la soglia di povertà assoluta quasi una persona su dieci.
La ricchezza si concentra, creando enormi divari di reddito: il 70% della ricchezza in Italia è nelle mani del 20% più benestante della popolazione, le cui condizioni nei primi vent’anni del nostro secolo, a dispetto delle varie crisi, sono migliorate. Mentre sono peggiorate quelle della classe media, con un’erosione costante del potere d’acquisto delle famiglie, ora ulteriormente ridotto dall’aumento delle bollette e dall’inflazione.

La fotografia di un Paese affetto da un enorme problema nella redistribuzione della ricchezza che investe il rapporto tra rendita e lavoro, mettendo a rischio la tenuta del proprio sistema di welfare. Sull’altro fronte, la ricchezza finanziaria e immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di sfuggire a ogni vincolo fiscale e solidale. Non si esce dalla crisi se chi ha di più non è chiamato a dare di più.

Dobbiamo, con chiarezza, sancire un principio: la giustizia sociale non è una conseguenza della crescita. Al contrario ne rappresenta il presupposto indispensabile e il primo obiettivo. Questo quadro rende imprescindibile un investimento massiccio in politiche di contrasto alla povertà. Su questo terreno siamo convinti che il reddito di cittadinanza vada rifinanziato, implementato nella sua componente di politica attiva, ma tutelato nella sua funzione di misura di contrasto alla povertà.

La questione giovanile nel nostro Paese rischia di diventare quella che, un tempo, si definiva “questione generale”. Porvi rimedio significherebbe porre rimedio alla maggior parte dei problemi del Paese. Per noi il tema dell’uguaglianza si presenta prima di tutto come necessità di garantire possibilità di scelta e parità delle condizioni di accesso alla formazione, al lavoro, a un’affermazione piena e libera della nostra personalità, alla possibilità di avere una casa e  restare a vivere nella terra in cui nasciamo, vicino ai nostri affetti.

Per far si che questi temi diventino prioritari nell’agenda politica del Paese crediamo sia indispensabile una riforma del corpo elettorale che garantisca il voto anche ai sedicenni e una legge che permetta a chi vive fuori sede per ragioni di studio di vedere garantito il proprio diritto al voto.

Superare le disuguaglianze di genere è indispensabile per costruire un Paese giusto. Su questo piano la politica, il Parlamento e il governo devono assumere la il tema di genere come faro di tutte le politiche, a cominciare da quelle del lavoro e di protezione sociale.

L’Italia non sarà mai un Paese “giusto” se non si rimette l centro dell’agenda politica il Mezzogiorno. Il Paese è cresciuto quando Sud e Nord hanno scelto di avanzare assieme e lo Stato ha assunto un ruolo guida in questo processo. Viceversa quando lo Stato è arretrato, la forbice si è allargata, l’Italia tutta ha pagato. Oggi, in una società sempre più diseguale, è forte il rischio di scivolare sulla strada intercorsa in questi ultimi decenni: carenza di politiche di medio-lungo periodo, incapacità di realizzare infrastrutture, lento e progressivo spopolamento.

Serve un piano per il Mezzogiorno che investa in innovazione ed infrastrutture, valorizzi la centralità in termini geografici del Mezzogiorno tenendo assieme la “questione meridionale” con l’apertura delle frontiere mediterranee, potenzi il sistema di formazione dei piccoli atenei del Sud Italia, facendo delle competenze il primo e fondamentale asset su cui investire per attrarre capitali.

Infine l’Italia non potrà dirsi giusta se non verrà, una volta per tutte, affrontato il nodo della giustizia, civile e penale. Un governo compartecipato dalla destra ha oggettivamente ridotto al minimo le possibilità di approvare una riforma determinante del sistema giudiziario. La prossima legislatura dovrà lavorare ad una giustizia civile e penale davvero rapida, imparziale ed efficiente. Serve a garantire la dignità e i diritti di tutti, soprattutto dei più deboli.

SVILUPPO SOSTENIBILE

Uno stato innovatore

l nuovo Governo dovrà aver chiara la necessità di disegnare un apparato pubblico capace non solo di sostenere ma anche di orientare l’economia. In altri termini occorre superare il modello tradizionale basato su regolamentazione del mercato e redistribuzione di ricchezza e dotarsi di strumenti per una redistribuzione del potere economico che garantisca davvero capacità di governare le transizioni secondo il principio della sostenibilità sul piano sociale, ambientale e sanitario.

Dentro questo disegno si colloca un deciso interventismo in economia finalizzato a cambiare gli assetti proprietari e le logiche produttive del Paese. Serve progettare un’economia mista più avanzata, basata su uno Stato imprenditore all’avanguardia, che persegua insieme crescita e progresso.

L’Italia basa la propria competitività internazionale, ormai da anni, sulla compressione dei salari. I fatti ci dicono che questo sistema non è in grado di assicurare uno sviluppo “stabile, sicuro e duraturo”, genera diseguaglianze inaccettabili, mette in discussione la coesione sociale e funge da freno sugli investimenti. L’intervento pubblico è indispensabile per invertire questa tendenza. Solo lo Stato può maturare la strategia e la forza per fermare la compressione della domanda interna e tutelare l’occupazione e lo sviluppo sostenendo le imprese.

La forza dell’Italia dipenderà anche dalla capacità pubblica di dirigere gli apparati produttivi strategici, sia partecipandoli, sia acquistandoli, sia, eventualmente, nazionalizzandoli.

È importante una revisione del diritto industriale, finanziario e bancario per stroncare le speculazioni più dannose, metterci al riparo dal periodico panico dei broker, orientare l’iniziativa economica verso il benessere sociale come scritto nella la nostra Costituzione e tornare ad una vera programmazione in campo di politiche industriali.

Servono politiche mirate a scongiurare le delocalizzazioni, nell’ottica d’una cooperazione europea contro la concorrenza fiscale e sociale. Tuttavia, anche il rilancio della domanda interna è condizione indispensabile per mettere fine al dumping sociale.

Larga parte della distribuzione economica è questione politica: perciò è importante che anche in Italia si consenta una maggior partecipazione dei lavoratori nelle decisioni dell’impresa, per esempio tramite quote di dipendenti all’interno degli organi sociali (e in particolare dei CDA). L’impresa svolge una funzione sociale: per valorizzarne il ruolo è indispensabile introdurre numerosi mezzi di democrazia economica, che permettano a tutti di avere voce nelle decisioni che influenzano la propria vita.

Spezzare i numerosi oligopoli e restituire qualità della vita e potere d’acquisto ai lavoratori non basta. Serve che gli investimenti in ricerca e sviluppo assicurino una conversione ecologica di tutti i principali settori industriali del nostro Paese, e riducano la dipendenza energetica italiana dai grandi esportatori di petrolio. Così il sistema avrà ossigeno per parecchi anni a venire.

Infine, lo Stato ha l’obbligo di aumentare e dirigere gli investimenti in ricerca scientifica e tecnologica, un campo in cui siamo fanalino di coda da anni e in cui invece bisogna rimediare a errori storici. Dopodiché serve offrire un sostegno più ingente alle imprese innovative, quale che sia la loro dimensione e sulla base di progetti di lungo periodo. Ma ciò che conta davvero è garantire una condivisione dei profitti raccolti dalle imprese che fanno fortuna in innovazione.

Troppo spesso lo Stato si limita alla socializzazione delle perdite, rinunciando a tutti i profitti che l’innovazione (abbondantemente fertilizzata da risorse pubbliche) produce. Così avremo un apparato produttivo che compete sulla qualità del prodotto e avrà ricadute positive sul Paese.

 

BENI COMUNI

Salute, ambiente, sapere

Quella che viene dalla pandemia è indubbiamente una fase di nuova centralità dei beni pubblici fondamentali: salute, istruzione e ambiente. Campi in cui non può esistere il povero né il ricco, beni indisponibili al mercato e al profitto. Al contrario va affermata l’idea che questi beni riguardano il futuro dei nostri figli e chiedono pertanto una presa in carico da parte della comunità.

I referendum del 2011 hanno affermato il principio dell’acqua come bene non privatizzabile. L’energia, il patrimonio culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la rete dei servizi di welfare e formazione, sono beni che devono vivere in un quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla qualità delle prestazioni.

Per raggiungere questi obiettivi, come per coniugare sviluppo e sostenibilità sociale, ridurre le diseguaglianze, garantire diritti risulta indispensabile ripensare il rapporto tra istituzioni pubbliche e mercatoriconsegnando una direzione strategica all’intervento pubblico.

La sanità pubblica universalistica e il diritto alla salute sono la misura della civiltà di una nazione.L’Art. 32 della nostra Carta Costituzionale recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”.

È l’unico articolo in cui accanto alla parola “diritto” viene accostata la parola “fondamentale”. Questo articolo ci dice che non importa quanti soldi hai, da dove vieni, il colore della tua pelle, hai sempre diritto ad essere curato. Non in quanto cittadino, ma in quanto individuo.

Il Covid, poi, ha impartito a tutti noi una lezione di fondo: la Salute come bene comune è condizione necessaria alla crescita economica, all’economia stessa, alla libera circolazione delle merci. Il rovesciamento di questo semplice rapporto causale ha giustificato per anni il taglio della spesa pubblica, con un ventennio di avanzi primari, a scapito dello stato sociale. L’apertura di una nuova stagione passa dal PNRR e dall’inversione di questa tendenza. Prossimità, innovazione, uguaglianza: sono queste le tre parole chiave che uniscono tutti gli interventi della Missione Salute che il prossimo Governo avrà la responsabilità di portare a compimento.

Accanto ad esso la più grande sfida con cui fare i conti sarà garantire un ricambio adeguato e sufficiente di professionisti della salute. Tra il 2022 e il 2030, infatti, andrà in pensione circa il 40% dei medici italiani. Un SSN in affanno di personale contribuisce ad amplificare diseguaglianze e differenze di opportunità. Pensiamo che una soluzione tampone possa essere rappresentata dall’inserimento in corsia di personale medico non specializzato, mentre, nel lungo periodo, il prossimo Governo dovrà lavorare in continuità con il precedente, proseguendo sulla strada dell’incremento del FSN, sciogliendo definitivamente l’imbuto formativo, continuando il lavoro di costruzione delle condizioni per il superamento del numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina.

Il SSN è il bene più prezioso di cui disponiamo. Abbiamo il dovere di tutelarlo e di consegnarlo alle future generazioni in una condizione migliore di come le passate lo hanno consegnato a noi.

I grandi cambiamenti climatici, la fragilità in cui versa il nostro territorio e il nostro ecosistema e, da ultimo, condizioni esogene come le conseguenze energetiche della guerra, ci impongono di rendere l’Italia un luogo capace non solo di colmare i propri ritardi in termini di transizione, ma di accelerare e anticipare le trasformazioni in campo ambientale.

Il perno di questa strategia, il settore capace di incrociare tutte le dimensioni della transizione, è la conversione dell’economia, una rivoluzione industriale green che punti verso un modello in grado di produrre più risorse di quante vengano sottratte, in termini ambientali e sociali.

Dobbiamo puntare ad una totale decarbonizzazione del nostro Paese, passare dalla strategia “usa e getta” alla quella “rigiuti zero”, investire nella riduzione dei consumi, in particolare di quelli energetici, continuare nel percorso iniziato di efficientamento di casa, mobilità e trasporti, e lavorare alla contestuale conversione dei consumi residui verso uno scenario al 100% rinnovabile entro il 2050.

Operare per il superamento della dipendenza dalle energie fossili significa, investire sul modello delle comunità energetiche che favorisca l’autoproduzione di energia pulita, in cui i cittadini e le comunità siano sempre di più consumatori, produttori e distributori di energia, riducendo così lo strapotere economico e geopolitico degli oligopolisti che oggi controllano nel mondo il settore energetico e spesso agiscono senza riguardo per i diritti umani e per l’ambiente.

Con questi obiettivi chiediamo in primo luogo l’istituzione di una Commissione permanente sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati.

Riteniamo necessario il varo di un piano per la promozione e la disciplina del commercio equo e solidale. 

Il terzo passo deve essere la creazione di un fondo per l’efficienza energetica per industria commercio e artigianato e la proroga – ripensando il meccanismo di cessione dei crediti – del fondo per il super bonus per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio.

 Siamo convinti che il prossimo Governo debba mettere in campo una strategia di progressiva riduzione del costo della modalità pendolare sostenibile, attingendo agli extraprofitti delle grandi multinazionali dell’energia, e di consolidamento della sharing mobility. In linea con questi interventi risulta necessaria un grande piano di infrastrutturazione per la mobilità elettrica.

In ultimo, non per importanza, serve intervenire con radicalità in contrasto alla povertà energetica. È necessario prendere atto che l’accesso all’energia a prezzi sostenibili rappresenta un diritto sociale fondamentale. Quindi è necessario disciplinare un piano d’azione integrato che abbia effetti consistenti e permanenti.

Dobbiamo costruire nuove relazioni con i mondi che ci circondano: per il benessere animale, contro la caccia in deroga, per la promozione della biodiversità, per comportamenti più salubri, per ridurre l’impronta ecologica, per tutelare la natura e quindi noi stessi.

Per un Paese le politiche per l’istruzione e la ricerca rappresentano nel lungo periodo, senza ombra di dubbio, il più importante strumento di lotta alle diseguaglianze. L’Italia nel programmare il suo futuro non può prescindere dal dare una risposta netta e decisa alla drammatica caduta della domanda d’istruzione registrata negli ultimi anni.

Occorre, prima di ogni altra cosa, sancire un principio: assieme alla tutela della salute e dell’ambiente, l’istruzione rappresenta il bene più prezioso per la nostra società. Dalla scuola dell’infanzia e dell’obbligo, alla secondaria e all’università, abbiamo il dovere di rovesciare la crisi nell’occasione di migliorare un settore per troppi anni fiaccato da tagli e riforme inconcludenti.

Oggi l’unica strada possibile da percorrere è quella di una vera e propria opera di ricostruzione, consapevoli che le sfide sono quelle della formazione lunga e permanente, dell’aggiornamento costante, della capacità di seguire e sostenere l’individuo anche durante il percorso lavorativo. Dobbiamo costruire un sistema d’istruzione saldamente ancorato ai principi costituzionali, che sia realmente gratuito, che non abbandoni nessuno lungo la strada, accessibile a tutti per davvero, senza distinzione alcuna.

A questi obiettivi ormai dichiarati si aggiunge la necessità di accelerare il percorso di adeguamento del nostro sistema di istruzione alle nuove tecnologie. Il Covid ha evidenziato come ad oggi larghe fasce del Paese siano sostanzialmente prive di strumenti, tecnologici e metodologici, per affrontare adeguatamente questa importante transizione.

Di fronte a queste sfide risulta urgente e indispensabile invertire, una volta per sempre, la tendenza nella spesa. Bisogna chiudere definitivamente la stagione dei tagli, mandare in soffitta la logica dell’istituzione-azienda, tornare ad investire risorse avendo come unico riferimento il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi formativi.

Serve un piano per l’edilizia scolastica, un piano straordinario contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte infiltrazione criminale. È irrinunciabile un investimento sul diritto allo studio e sulla progressiva gratuità dell’accesso a partire dall’abolizione delle tasse universitarie, sull’effettivo sostegno con borse di studio e residenze per gli aventi diritto, sulla qualità dell’insegnamento, sulla valorizzazione di professori e ricercatori, sulla stabilizzazione dei precari dell’Università e del sistema pubblico di ricerca, sulla valutazione seria della ricerca definendo nuovi criteri e finalità della valutazione dei singoli e delle istituzioni. Strumenti strutturali per la ricostruzione di un sistema universitario e della ricerca pubblica all’avanguardia e diffuso lungo tutta la penisola.

Nel mezzogiorno, poi, la sfida degli Atenei può essere ancora più ambiziosa. Favorire l’interazione tra grandi e piccole università del Sud e media e grande industria può significare attrarre gli investimenti di chi opera su mercati internazionali, trasferire opportunità ai giovani studenti e a quelle PMI che ambiscono ad allargare i propri orizzonti di mercato.

 

L’obiettivo deve essere quello di sperimentare nuovi modelli di partenariato tra le università e rendere attrattivi luoghi e regioni che non possono più pagare una quota tanto elevata in termini di emigrazione intellettuale.

È questa una via con cui, oggi, molte università del Sud possono rilegittimare la propria funzione nei territori e infondere, ai giovani che li abitano, quella speranza di futuro e di orgoglio di appartenenza alla loro comunità. E di questo capitale sociale il Sud, oggi più che mai, ne ha un bisogno vitale.

DIRITTI E LIBERTA'

Liberi e uguali

Per noi libertà e diritti si traducono anzitutto nella possibilità concreta per le giovani generazioni di costruire il proprio progetto di vita e realizzare le proprie vocazioni. Chiediamo che il progetto per il Paese non sia retoricamente per i giovani, ma soprattutto dei giovani. Quegli stessi che oggi, pur ricchi di talento ed energie, trovano le strade sbarrate e sono sistematicamente esclusi.

In materia di immigrazione, l’Italia deve abolire la legge Bossi-Fini e prevedere vie legali praticabili per arrivare dai Paesi non appartenenti all’Unione Europea. Altrettanto indispensabile è riformare le norme UE in materia d’asilo, modificando il Trattato di Dublino per superare il criterio del Paese di primo accesso. Serve un sistema unico d’asilo europeo improntato alla solidarietà, alla responsabilità, alla cooperazione tra i Paesi d’origine, quelli di primo arrivo, di transito e di stanziamento di lungo periodo.

Dobbiamo ribadire con forza che riconoscere la cittadinanza italiana a chi nasce in Italia da genitori stranieri, o a chi ci arriva da piccolo e completa qui un ciclo di studi, non è una concessione, ma un atto ragionevole e doveroso verso chi è italiano nei fatti. La piena uguaglianza nei diritti, la piena cittadinanza, è l’unica via per l’integrazione. E l’integrazione è l’unico antidoto alla violenza.

Per questo è necessaria – dopo la battuta d’arresto subita dalla legge Zan – una legge contro l’omotransfobia, contro tutte le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere.

E per questo è necessario un forte piano nazionale contro la violenza sulle donne. Violenza che è la punta dell’iceberg di relazioni improntate a regole ataviche di sopraffazione e dominio. Affinché il rispetto della libertà e dei diritti delle donne sia pianamente garantito occorre superare gli aspetti giuridicamente insostenibili della legge 40 in materia di procreazione assistita e garantire piena applicazione alla legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.

In materia di fine vita la politica deve coltivare il senso del proprio limite riconoscendo la libertà di scelta dell’individuo. Alla camera è stato approvato, in prima lettura, un testo sul diritto all’aiuto al suicidio medicalizzato che recepisce il punto di equilibrio, individuato dalla Consulta, tra autodeterminazione individuale e tutela della vita in condizioni di particolare vulnerabilità. Il prossimo parlamento ha il dovere di portare a termine questa legislazione.

In tema di dipendenze dobbiamo chiudere una volta per tutte la stagione della tolleranza zero e della repressione che non ha funzionato. Da un canto serve lavorare ad un sistema di presa in carico delle fragilità alla base delle dipendenze, dall’altra al rafforzamento della lotta ai grandi player della droga attraverso una strategia che abbia come scala minima quella europea. Da questo punto di vista è necessario allineare la legislazione sulle droghe leggere, a cominciare dalla Cannabis, a quella dei grandi Paesi europei come la Germania legalizzandone la produzione per uso personale.

In tema di diritti civili se pure ha segnato un deciso passo in avanti rispetto al passato, è chiaro che la normativa del 2016 risulta del tutto insufficiente e oggi inattuale. La legge Cirinnà è stata un compromesso al ribasso che ha lasciato irrisolte ambiguità e disparità di trattamento tra i diritti riconosciuti alle coppie sposate e a quelli delle coppie in unione civile. I tempi ormai sono pienamente maturi per arrivare finalmente alla totale equiparazione tramite l’istituzione del matrimonio egualitario.

Crediamo sia necessario provvedere a colmare le lacune dell’istituto sull’adozione, da un lato introducendo legislativamente la stepchild adoption e dall’altro estendendo l’istituto anche alle coppie dell’unione civile e della convivenza, non rispondendo più ad attualità né a nessun criterio logicamente giustificabile che l’adozione debba essere relegato al solo matrimonio. È l’unica strada che consente di estendere il diritto di famiglia e allo stesso tempo dare piena dignità alle numerose famiglie arcobaleno diffuse sull’intero territorio e che da anni vivono nell’incertezza giuridica dei propri rapporti.

MEMORIA E ANTIFASCISMO

Il futuro ha un cuore antico

Viviamo un tempo in cui si fa largo l’illusione per cui serva dimenticare per essere moderni e per procedere più spediti verso il futuro. Siamo convinti, invece, che occorra l’esatto contrario. Che serva conoscere e ricordare per non perdere la consapevolezza critica su quello che accade nel presente.

La destra, nel mondo, torna ad alzare le bandiere del nazionalismo. Anche nel nostro Paese c’è una politica che punta costruire un nuovo “senso comune” fondato sulla cancellazione della memoria critica del passato e sull’azzeramento nella coscienza collettiva dell’eredità dell’antifascismo e della Resistenza.

Ciò che oggi viene messo in discussione non è solo il ruolo svolto nel passato dall’antifascismo e dalla Resistenza, ma anche e soprattutto il progetto per la costruzione di una nuova Italia e di una nuova Europa che questi movimenti hanno rappresentato. Un progetto che oggi sembra quanto mai attuale e vitale in termini di visione, di valori e ideali.

Un’eredità custodita nella Costituzione, che rappresenta la nostra più forte ancora al passato e il nostro più luminoso faro verso il futuro. Una Costituzione antifascista. Non perché sia stata scritta da antifascisti. Non perché nella XII disposizione transitoria e finale vieta la riorganizzazione del disciolto partito fascista, ma perché rovescia le categorie fondamentali del fascismo e fonda il nostro vivere democratico su valori diametralmente opposti. Questi valori non resisteranno in quanto tali se non tutelati. Necessitano consapevolezza, e rappresentano una sfida quotidiana, sempre attuale e mai scontata. Perché perderli è possibile, perché il fascismo è un fenomeno umano, e come tutti i fenomeni umani può ripresentarsi.

Il punto non è affermare l’incombenza di un pericolo imminente, ma non può essere nemmeno derubricare la questione alla nostalgia di categorie novecentesche. Il punto è la progressiva perdita di una tensione culturale prima ancora che politica, il progressivo indebolimento di riferimenti ideali e culturali da cui nacque la nostra Costituzione.  Per questo rivendichiamo la necessità che organizzazioni neofasciste debbano essere sciolte.

Abbiamo il dovere di rispondere, quotidianamente, ad ogni segnale di recrudescenza di quella cultura. Segnali che oggi sono lo sdoganarsi del razzismo, il dilagare dell’egoismo individualista, il mito del superuomo e l’aumento della violenza verbale prima ancora che fisica. Una battaglia che abbiamo la responsabilità di combattere non con le armi della repressione, ma con la conoscenza. Conservando e trasmettendo la memoria del nostro passato. VV